Rhythms of Liberation: l'Emancipazione Femminile Nera dal Gospel alla Trap
A cura di Naomi Kelechi Di Meo, Laetitia Leunkeu, Maguette Fall, Selam Tesfai
A cura di Naomi Kelechi Di Meo, Laetitia Leunkeu, Maguette Fall, Selam Tesfai
Nel delineare il percorso delle donne Nere nell’industria musicale, risulta evidente che la loro è una narrazione di rivoluzione, innovazione ed emancipazione. Attraverso i loro testi, le loro esibizioni e il loro attivismo, sono diventate agenti di cambiamento, sfidando le norme sociali ed amplificando le voci delle comunità marginalizzate. Celebrando l’eredità delle donne Nere nella musica, onoriamo non soltanto i loro risultati artistici, ma anche il loro profondo impatto sulla lotta per l’eguaglianza e la giustizia.
di Naomi Kelechi Di Meo
Scritto ascoltando Four Women di Nina Simone
Il mio allontanamento dalla chiesa è avvenuto intorno all’età di quattordici o quindici anni. Sorprendentemente, mia madre scelse come punizione il trattamento del silenzio, risparmiandomi una ramanzina sul mettere in imbarazzo la famiglia. Ciononostante, la chiesa e la fede hanno trovato delle vie alternative per raggiungermi, e una di queste strade è stata la musica. Le mie domeniche assunsero una nuova veste: non stavo più seduta tra i fedeli ad ascoltare il sermone di un predicatore, ma, invece, ero impegnata nelle faccende domestiche mentre le note del gospel riempivano l’aria. I miei primi ricordi riguardano mia madre che intona arie religiose, stonate ma sincere, mentre mettevamo su dei dischi dagli Stati Uniti. Nonostante la mia fede sia sfumata nel tempo, rimango sbalordita dalla presa emotiva che la musica gospel esercita su di me. Non è solamente un fatto di voci eteree; a catturarmi è la prominenza delle donne in queste melodie toccanti. Provenendo da una famiglia profondamente immersa nella passione per la musica e per diversi generi, mi sono trovata a riflettere sulle vite dietro le musiciste che i miei genitori adoravano - Billie Holiday, Nina Simone, Aretha Franklin, Whitney Houston, per citarne qualcuna - tutte formidabili voci femminili che hanno iniziato in chiesa la loro carriera musicale.
Non desta sorpresa che la chiesa, passata e presente, detenga una significativa importanza sociale per la comunità Nera. Fungendo da istituzione centrale, ha giocato un ruolo fondamentale nel movimento di emancipazione Nera negli Stati Uniti, offrendo uno spazio di organizzazione, mobilitazione e resistenza contro l’oppressione. Per le donne Nere, in particolare, la chiesa ha costituito una piattaforma vitale di visibilità ed espressione in un mondo schierato contro di loro. Pur riconoscendo i difetti e i tabù radicati nell’istituzione, è imperativo riconoscere il suo ruolo di pietra angolare per una comunità che naviga esperienze condivise e ricerca conforto e resilienza nella credenza collettiva. Non riconoscere il ruolo fondamentale delle donne Nere nel plasmare questa entità sarebbe una tremenda omissione.
Il legame intrinseco tra le donne Nere e la chiesa sottolinea la loro capacità di esprimere pensieri ed emozioni attraverso la musica, di trovare mentori nei direttori dei cori, di affermare eredità culturale e di sfidare le ingiustizie. La musica gospel ha funto da conduttore per queste forme di espressione, gettando le basi per i successivi movimenti di emancipazione. Con l’avvento dell'epoca dei diritti civili, le donne Nere hanno traslato senza soluzione di continuità i loro tentativi di mobilitazione nelle strutture politiche esistenti, promuovendo una consapevolezza collettiva sulle lotte di genere, razza e classe fondamentale per l'evoluzione del Pensiero Femminista Nero. La musica, connaturatamente politica, funge da veicolo per l’espressione delle rimostranze e la denuncia delle ingiustizie sistemiche.
«Southern trees bear a strange fruit
Blood on the leaves and blood at the root
Black bodies swinging in the southern breeze
Strange fruit hanging from the poplar trees»
Dalla struggente interpretazione di Strange Fruit di Billie Holiday nel 1939, poi coverizzata nel 1965 da Nina Simone, che descriveva in modo toccante la brutalità della violenza razziale e del linciaggio, all’emersione del blues come mezzo di vocalizzazione dell’angoscia e di catarsi emotiva, le musiciste Nere hanno consistentemente amplificato le voci delle persone oppresse. Se il gospel era un appello alla forza divina, il blues divenne un inno di resistenza, facendo riecheggiare le catene della schiavitù in melodie ancestrali. Artiste blues come Etta James, Gertrude Ma Rainey (la madre del Blues) e Sister Rosetta Tharpe, accanto ai temi dell’amore e del dolore, propugnavano la giustizia sociale e l’uguaglianza razziale. Queste pioniere hanno gettato le fondamenta per altri generi musicali successivi. Il rythm and blues emerse dalla tradizione blues negli anni quaranta e cinquanta, combinando elementi del blues, del jazz e del gospel. Il soul si sviluppò negli anni cinquanta e sessanta, mescolando elementi dell’R'n'B, del gospel e del blues. La musica funk si originò nei tardi anni sessanta e nei primi settanta, traendo ispirazione dall’R'n'B, dal soul e dal jazz, dal rock 'n' roll e, infine, dall’hip hop. Questo genere è principalmente associato alla cultura urbana e alla produzione di musica elettronica; ha le sue radici nelle tradizioni musicali Afroamericane, incluso il blues. Gli artisti hip hop campionano spesso dei brani blues e incorporano i temi del blues nei loro testi, riflettendo la costante influenza del genere.
Malgrado le narrazioni storiche che spesso mettono in ombra i contributi femminili a questi generi, le donne hanno giocato un ruolo fondamentale nel plasmare la loro evoluzione. Il campionamento, una pratica frequente nell’hip hop e in altri generi contemporanei, deve gran parte della sua ispirazione alle voci delle donne Nere. Con l'evoluzione dei generi musicali, si è evoluto anche il ruolo delle donne Nere al loro interno, riassumendo una metamorfosi perpetua attraverso il tempo e lo spazio. Nonostante il femminismo e l’emancipazione vengano spesso associati alla cultura bianca occidentale, per comprendere i movimenti femministi globali contemporanei non può essere tralasciato l’indispensabile ruolo dell’emancipazione Nera femminile. Dalle cantanti gospel clandestine alle icone rap senza filtri, le donne Nere hanno ridefinito le norme e le aspettative societarie, procedendo da Billie Holiday alle celebrità attuali come Sexyy Red. Queste donne, spina dorsale e modello della società americana, non hanno solamente allevato generazioni, ma anche sfidato le convenzioni sociali, dal lavoro agli standard di bellezza, lasciando una traccia indelebile nella cultura e nella moda.
Con l’avvento della disco e del funk, le donne Nere hanno iniziato ad abbracciare la loro energia femminile e i loro corpi, dandosi la possibilità di oltrepassare le linee della moda e dell’esposizione del corpo che di solito erano esclusivamente riservate alle donne bianche. Donna Summer, Tina Turner, Diana Ross e Chaka Khan sono alcuni dei nomi più iconici acclamati dai fan: hanno sfidato la sessualizzazione e l’oggettificazione a cui le donne razzializzate sono state sottoposte per mano della supremazia bianca e della colonizzazione, incarnando tematiche relative al sesso, al piacere e al divertimento. Come detto in precedenza, molte delle leggende musicali che conosciamo hanno alle spalle una forte relazione con la chiesa, eppure hanno sfidato gli stereotipi e i limiti imbarcandosi in un viaggio al di là dei testi, dei costumi e delle sonorità che scaturivano da una prospettiva religiosa.
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Ciò ha inevitabilmente permesso a donne di altri generi come l’R'n'B e l’hip hop di abbracciare a pieno l’espressione di sé, non soltanto attraverso i testi, ma anche tramite la moda, dal momento che viene mostrata più pelle, vengono usati diversi stili di capelli e gli accessori diventano elementi centrali del look. Gli anni novanta ci hanno permesso di assistere all’apice dell’espressione nera femminile sia nelle sonorità conscious che in quelle gangster. Da Queen Latifah a Lil Kim, quel che veniva servito in ogni rima è l’emancipazione femminile Nera, affrontando le istanze della sorellanza, della liberazione, dell’abuso e della lotta di classe.
Ai nostri giorni, abbiamo la possibilità di confrontarci con varie teoriche femministe, diverse dalle accademiche bianche che hanno plasmato i discorsi femministi sia dentro che fuori l’accademia. hooks, Davis, Crenshaw, Lorde, Morrison sono solo alcuni degli straordinari nomi che si trovano sugli scaffali delle librerie o vengono citati nei testi più importanti sul femminismo. Tutto ciò è stato reso possibile anche grazie alla musica, e alla relazione tra lotta di genere ed emancipazione attraverso forme artistiche quali la musica. Il libro di Angela Davis Blues e femminismo nero. Gertrude “Ma” Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday esplora l’intersezione della musica blues, del femminismo Nero e della giustizia sociale attraverso le vite e le eredità di tre influenti cantanti blues: Gertrude “Ma” Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday.
Nel libro, Davis approfondisce i contesti storici e culturali in cui queste donne hanno vissuto e performato, sottolineando il loro contributo non solo alla musica, ma anche alla più ampia lotta per i diritti civili e l’uguaglianza di genere. Prende in esame il modo in cui la loro musica ha funto da forma di resistenza contro l’oppressione razziale e di genere, fornendo una piattaforma di espressione delle loro esperienze e di sfida alle norme societarie. Davis enfatizza l’agency e l’autonomia di queste donne, dipingendole come partecipanti attive del processo di plasmazione delle loro narrazioni e identità. Sostiene che la loro musica non sia stata solo riflesso delle loro lotte personali, ma si sia anche rivolta a istanze sociali più ampie, come il razzismo, il sessismo e lo sfruttamento economico. Tramite un’analisi dettagliata di testi, esibizioni e biografie personali, Davis offre degli spaccati sui modi in cui il blues ha funto da mezzo di empowerment e liberazione per le donne Nere, spianando la strada per le generazioni future di artiste e attiviste.
Oggi, le protagoniste della scena sono potenze come Sexyy Red, Cardi B, Meghan Thee Stallion, Latto, Doja Cat, SZA, Victoria Monet, Jane Monae e molte altre. Non raccontano soltanto storie di lotta- ribaltano il copione, incarnando lo spirito delle vincenti che non stanno sedute in disparte, ma si prendono il vertice. Oggi, mentre navighiamo in un mondo ricolmo di ineguaglianza ed ingiustizia, le voci delle donne Nere continuano a guidare la carica verso la liberazione e l’eguaglianza. Comprendere le loro lotte e i loro trionfi non è solo una testimonianza della loro resilienza, ma anche un'indicazione per un futuro più equo- uno dove ogni strada porta alla liberazione.
di Laetitia Ingrid M. Leunkeu
Scritto ascoltando Work Song di Nina Simone
"My skin is black", così comincia la storia della prima donna, «my arms are long». «My hair is woolly», sussurra, «but my back is strong". Nel 1965, in un locale dei Paesi Bassi, Nina Simone presentò per la prima volta una canzone che aveva scritto su quelle che chiamava "four Negro women" . «And one of the women’s hair», dice mentre si passa la mano fra i suoi, «is like mine». Zia Sarah è anziana, certo, ma ha una schiena forte che le ha permesso «to take the pain inflicted again and again». Poi c'è Saffronia, la cui pelle gialla e i cui capelli lunghi sono il risultato della violenza del ricco padre bianco nei confronti della madre: «Between two worlds I do belong». Sweet Thing scherza sulla sua pelle abbronzata e sui suoi fianchi attraenti. (Di) chi è lei? «Yours if you have enough money». «My skin is brown», ruggisce Peaches, «my manner is tough. I’ll kill the first mother I see. ’Cause my life has been rough».
Attraverso queste parole, Nina Simone esprimeva tutto l'amore che nutriva per la femminilità Nera. Si trattava di una "canzone d'amore" che tentava di nascondere le ferite provocate dall'essere una donna razzializzata all'interno in una società dove: «Le donne della canzone sono Nere, ma la loro carnagione varia da chiara a scura e le loro idee di bellezza e di importanza sono profondamente influenzate da ciò. Il brano non faceva altro che raccontare ciò che era nella mente della maggior parte delle donne Nere in America quando pensavano a se stesse: la loro carnagione, i loro capelli - lisci, mossi, naturali, come? - e cosa le altre donne pensavano di loro. Le donne Nere non sapevano cosa diamine volessero veramente perché venivano definite da fattori che sfuggivano al loro controllo, e finché non avessero avuto la fiducia di definirsi da sole, sarebbero rimaste sempre intrappolate nella stessa confusione - questo era il succo della canzone».
Le parole di Simone in Four Women riflettono profondamente le esperienze e le lotte delle donne Nere. Dalla resilienza di zia Sarah di fronte al perenne dolore, alla provocatoria dichiarazione di forza di Peaches, ogni donna della canzone incarna una diversa sfaccettatura della femminilità Nera, in un modo che «parimenti critica e integra gli ideali di bellezza personale e di desiderabilità definiti da standard razzisti" e mette in atto "un sistema di valutazione che abbraccia la diversità dell’aspetto delle persone Nere» (bell hooks).
Attraverso questa narrazione, Simone sottolinea l'interconnessione delle esperienze delle donne Nere, utilizzando il colore della pelle come mezzo per esplorare la natura sfaccettata della loro identità e solidarietà, sfidando i rigidi confini delle norme sociali e degli standard di bellezza imposti dal razzismo.
Ma il significato di Four Women va oltre il suo testo. Rappresenta una forma di condivisione per le donne Nere, affrontando problematiche sociali che sono state a lungo ignorate dalla cultura mainstream. Simone offre a queste donne uno spazio per rivendicare la propria agency e prendere il controllo della propria narrazione, sfidando gli stereotipi e storicizzandoli all'interno di un mondo che cerca di soffocare la soggettività femminile Nera. In questo contesto, la rabbia che Simone esprime nella parte finale della canzone non è altro che una risposta pacata ad una cultura che adombra le donne Nere attraverso rappresentazioni stereotipate: sono soggetti senza nome, invisibili, e persino la tragedia della loro morte rischia di essere silenziata.
In questo senso, la canzone incarna un inno femminista che critica e sfida le limitazioni storiche. L’inno fa luce sulle complessità dell'esperienza delle donne nere, spesso trascurate dalla società e dal femminismo mainstream. Zia Sarah, ad esempio, non è solo "schiava" dei suoi padroni, ma anche di un marito, un padre, un fratello, tutti Neri come lei, che potrebbero anche lottare per i loro diritti - in quanto uomini Neri - ma trascurando quelli delle donne. Allo stesso modo, Saffronia viene definita in modo dispregiativo come "gialla" e si sente particolarmente alienata dalla comunità Nera. Così come anche i clienti di Sweet Thing sono Neri, eppure sono gli stessi che vogliono possedere quell’"oggetto" che deve avere i capelli come le donne bianche. La rabbia di Peaches si rivolge soprattutto contro di loro, contro la loro ipocrisia, la loro arroganza e la loro violenza.
Queste parole risuonano in un contesto in cui le politiche di genere sono state spesso messe a tacere, anche all'interno del movimento per i diritti civili:
«Oh daughter, dear daughter
Take warning from me
And don’t you go marching
With the N-A-A-C-P
For they’ll rock you and roll you
And shove you into bed
And if they steal your nuclear secrets
You’ll wish you were dead»
Ammoniva in Go Limp, facendosi portavoce della paura di una madre Nera:
«Oh mother, dear mother
No, I’m not afraid
For I’ll go on that march
And return a virgin maid.
With a brick in my handbag
And a smile on my face
And barbed wire in my underwear
To shed off disgrace»
E' la risposta rassicurante della figlia. Ma poi:
«One day they were marching
A young man came by
With a beard on his cheek
And a gleam in his eye
And before she had time
To remember her brick…
They were holding a sit-down
On a nearby hay rig
[...]
One day at the briefing
She’d heard a man say,
‘Go perfectly limp,
And be carried away’
So when this young man suggested
It was time she was kissed,
She remembered her brief
And did not resist»
A chi manifestava in modo non violento per i diritti civili veniva consigliato di go limp, cioè "stare molli", qualora fossero stati arrestati dalla polizia, per rimarcare la loro posizione pacifica in opposizione all'aggressione e all'abuso di potere delle forze dell’ordine durante le proteste.
Ma cosa sarebbe successo alle giovani donne Nere se fossero "rimaste molli" durante le proteste?
L'attrattività di Simone per le donne Nere risiede nella sua capacità di rivolgersi direttamente a loro nel parlare di una contagiosa malattia sociale per la quale non era stata trovata cura, ma che avrebbero potuto confinare insieme in uno spazio dove poterla combattere. L'autrice ha raccontato le proprie esperienze di violenza sessuale e di genere, ritraendo in modo vivido le storie di Zia Sarah, Saffronia, Sweet Thing e Peaches, e dando vita alle loro storie. La sua lotta personale contro l’interiorizzazione dell'oppressione l'ha portata da un profondo senso di alienazione verso un luogo di solidarietà collettiva con altre donne - un viaggio trasformativo segnato dalla condivisione.
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Eunice Kathleen Waymon - nome di nascita di Simone - ha dovuto affrontare nel corso della sua vita sfide gigantesche. Nonostante avesse manifestato sin dalla tenera età un talento eccezionale come pianista, l'America segregazionista non la risparmiò dall'esclusione e dalla discriminazione che andavano di pari passo con la sua "veste" di donna Nera in quel contesto storico e sociale. Simone ha fatto i conti con persistenti insicurezze personali e con l’oppressione interiorizzata, destreggiandosi in una società che costantemente sminuiva il suo valore sulla base della razza e del genere. Il suo percorso verso l'accettazione di sé stessa è stato tumultuoso, costellato da momenti di profondo sconforto e disillusione. Tuttavia, grazie alla musica e all’attivismo, è stata in grado di tramutare queste avversità personali, incanalando le proprie esperienze di marginalizzazione in un'arte che avrebbe facilitato un percorso collettivo di guarigione e di resistenza, aprendo la strada a maggiore visibilità e riconoscimento delle donne Nere nell'ambito della più ampia lotta per i diritti civili.
Simone si è fatta artefice di una solidarietà esclusiva tra donne Nere, il cui desiderio di emancipazione era stato ampiamente ignorato dal movimento di liberazione dei Neri. Ha coraggiosamente rotto il silenzio, condividendo le sue lotte con la propria immagine e l’amor proprio con una comunità di donne che dovevano continuamente affrontare il doppio onere di essere nate Nere e femmine. Mentre il suo mantra popolare, "Essere giovane, dotata e Nera", era un'ispirazione per le masse Afroamericane, Four Women ha rappresentato un'affermazione della propria agency "in un mondo che non ha alcun interesse nella soggettività femminile Nera radicale", ma che cerca piuttosto di "reprimerla, contenerla e annientarla" (bell hooks).
Il testo della canzone di Simone riflette quest’identità collettiva, affrontando i temi della discriminazione razziale e della crisi della femminilità Nera sia nell’ambito del potere socioeconomico e politico, sia in quello dell'arte e dei canoni estetici. Simone fa parte di quel collettivo di donne che ha messo in discussione e rimodellato il programma ideologico del nazionalismo culturale Nero degli anni Sessanta, creando le proprie visioni di identità, comunità e cambiamento storico.
Artiste Nere come Audre Lorde, Nina Simone e Aretha Franklin hanno tratto energia vitale dalla transizione da spirituale a secolare, per creare forme di sopravvivenza straordinarie, inclusive e trasformative. Donne Nere radicali come Nina Simone, sia dentro che fuori la lotta di liberazione dei neri, hanno combattuto contro le norme patriarcali che le avrebbero tenute confinate in spazi privati e di isolamento. In questo modo, queste donne "hanno promosso e tradotto le energie emancipatrici di una coscienza popolare nel regno dell'arte e dell'estetica. In modo altrettanto importante, hanno messo in atto delle strategie per trasformare le forme materiali ed espressive del folklore da siti di oppressione a spazi di intervento e di resistenza". Il folklore è diventato così un ambito culturale che ha offerto alle donne Nere uno spazio di libertà artistica e di elevazione per una causa più grande.
di Maguette Fall
Scritto ascoltando l'inno femminista U.N.I.T.Y. di Queen Latifah del 1993.
«Come here loverboy!», così esordiva Sylvia Robinson al fianco di MacHouston "Mickey" Baker all'inizio della leggendaria esibizione con Love is Strange al The Steve Allen Show in onda sul network NBC, il 21 aprile 1957. Ai tempi la giovane Robinson si destreggiava in un panorama musicale che vedeva le donne Afroamericane come coscienti protagoniste di tutti i retroscena artistici, all'interno di un mondo totalmente monopolizzato da uomini bianchi della borghesia statunitense o uomini Neri delle proprie comunità Afroamericane.
Artiste come Sylvia Robinson erano lo straordinario esempio di come spesso le dirette menti creative dietro ai grandi artisti, fossero donne Nere che, nella maggior parte dei casi, non ricevevano riconoscimenti per le proprie produzioni, poiché la loro condizione di classe e il loro status rappresentavano il primo ostacolo intersezionale alle loro opportunità e carriere. Eppure, una delle prime figure di riferimento menzionate a gran voce in Ladies First: A Story of Women in Hip-Hop, recentissimo documentario Netflix del 2023, è proprio Sylvia Robinson, poiché ritenuta una delle prime e più influenti produttrici musicali della storia e considerata la madre del primo impero discografico incentrato sulla rap performance e sulla Hip Hop music. Sylvia fu infatti la creatrice e producer del primo gruppo rap "certificato" della storia, The Sugar Hill Gang, per il quale concepì e produsse il primo rap record di successo mainstream, Rapper's Delight, che uscì nell'estate del 1979 e che «trasformò la cultura di strada dell’hip-hop in una forma d’arte commercialmente valida» (Charnas, 2019). Nonostante le critiche mosse in merito ad aver creato un gruppo rap artificiale, che nulla aveva a che vedere con la vera cultura di strada, ciò che è fondamentale ricavare da figure groundbreaking come la Robinson, sono il potere e la legacy lasciata da donne come lei non solo negli investimenti e nelle dinamiche dell'industria musicale statunitense, ma anche e soprattutto nella cultura e nel pensiero critico femminista Nero, dagli anni ‘80 fino alla contemporaneità.
Per meglio comprendere il punto occorrono delle premesse: l'interpretazione del vissuto e dei fenomeni sociali attraverso la musica si è da sempre collocata, sin dall'alba dei tempi, alla base dell'espressività di qualsiasi comunità Nera intorno al mondo, dunque l'avvento della rap performance a partire dalla fine degli anni ‘70 sulla scena musicale statunitense costituì semplicemente un nuovo e rivoluzionario strumento per osservare, denunciare e condividere questi fenomeni, che erano profondamente intrecciati all'economia, al welfare, ai diritti, allo status e alla cultura. Nulla di ciò che esisteva (ed esiste) a livello accademico in termini di attivismo Nero, rivoluzione dal basso e studi sociologici poteva infatti prescindere dall'esistenza e dall'influenza del rap e della strada, mentre ciò che era rap e ciò che era strada esisteva (ed esiste) a prescindere da qualsiasi paper accademico o rivista che potesse trattare dell'argomento.
Fu su queste basi, infatti, che la cultura hip hop si intrecciò indissolubilmente con il femminismo Nero, attraverso l'emergere di figure femministe Nere nel rap che rivoltarono le carte in gioco. Ricercando racconti e informazioni riguardo alla legacy di Sylvia Robinson, questi trattano spesso e volentieri del suo grande fiuto imprenditoriale, ma molto più frequentemente la narrativa si focalizza sulle beghe finanziarie o sulle dispute con la concorrenza maschile spietata nell'industria musicale degli anni ‘80-’90 (Charnes, 2019). In realtà, la legacy più importante fu quella lasciata alle donne Nere, che successivamente a lei incominciarono la propria ascesa nel panorama rap e nell'industria musicale: il coraggio nell'intraprendere un viaggio nel mezzo di un'intera società che ti rema contro e nel prendersi lo spazio e i crediti che ti spettano di diritto. Un viaggio, perlopiù, senza alcun libretto di istruzioni.
«They say 'how is it being in the music industry as a woman?' 'I don't know. I am a woman. I don't know any other way. I can just tell you my story» - Mc Lyte, da Ladies First: A story of Women in Hip-hop (Netflix, 2023)
Robinson lascia in eredità non solo un modo di fare imprenditoria, ma anche una forma di agency e identità femminile Nera, consistente in una lotta costante di affermazione e indipendenza, in un universo di feroce competizione e dominio maschile. Ci si rende conto dell'efficacia di questa legacy nel momento in cui all'interno di un salotto televisivo nel 1999 stanno sedute quattro donne che, già all'epoca dell'intervista, avevano scritto e disegnato la storia dell'hip hop. Un talk show intitolato The Queen Latifah Show, dove dietro la main chair dell'oste non stava un uomo bianco occhialuto di mezz'età a porre domande scomode, ma una fiera, impavida full-figured Black Queen Mother, che fino a qualche anno prima regnava le Billboard charts con U.N.I.T.Y. (1993), una dei brani femministi più potenti mai prodotti nella storia della musica. A chiacchierare con lei di filantropia, della propria sisterhood musicale, ma anche di vita e della loro gratitudine e ammirazione reciproca, stavano sedute, una accanto all'altra, sul divano: Lauryn Hill, Mary J. Blige e Missy Elliott; uno dei crossover più leggendari mai visti. La potenza creatasi in quella stanza, in quel momento, trasuda ancora da qualsiasi schermo. Guardando quell'unico spezzone di intervista - recuperabile su Youtube in bassissima qualità, in pieno stile anni ‘90 - ci si rende conto che più che di magia, si trattava di una semplice rappresentazione di Black womanhood legacy allo stato puro.
Queen Latifah è sempre stata conservatrice, in maniera inconsapevole i primi tempi, di una potente legacy femminista Nera. Lei stessa, in un'intervista di qualche anno fa, alla domanda «Do you consider yourself a feminist?», rispose «I consider myself my mother's daughter», spiegando di come da più giovane vivesse così immersa dentro la street culture, nel suo ambiente, accanto ai suoi pari, da non rendersi conto di essere diventata un'icona femminista agli occhi della gente. Latifah nell'intervista spiega che tutto ciò che ai tempi trasmetteva attraverso la sua musica fosse semplicemente frutto naturale degli insegnamenti di sua madre, la prima a spingerla verso una carriera musicale e la prima ad incoraggiarla ad essere solo sé stessa attraverso l'arte, dunque unapologetically Black and unapologetically woman, fino alla nascita della mastodontica icona che è Queen Latifah come la conosciamo oggi. Sempre sulla scia della stessa inconsapevolezza a Latifah fu affidato ai tempi l'appellativo di "Queen Mother" proprio per via del messaggio che non solo i suoi brani trasmettevano, ma che anche la sua immagine e corpo riverberavano: «Latifah's maternal demeanor, posture, and full figure contribute to the perception of her as a queen mother» (Keyes, 2000). Sulla definizione di "Queen Mother" tornano perfettamente utili le parole di Angela Y. Davis nel 1998:
«Their rhymes embrace Black female empowerment and spirituality, making clear their self-identification as African, woman, warrior, priestess and queen. Queen mothers demand respect not only for their people but for Black women, who are to be accorded respect by...men».
Questa tipologia di figura femminile Nera si affermò nel corso degli anni ‘90, verso la cui fine emerse un'altra ereditiera e trasmettitrice della legacy di cui finora si è trattato. Correva l'anno 1997, quando Erykah Badu salì su quel palco di Washington D.C. - come ricorda lei stessa nell'episodio a lei dedicato del podcast The FADER Uncovered (2021) - e con quel «Brothers, y'all alright?» sconvolse non solo la folla, non solo la storia della musica nu-soul subito successiva, ma anche e soprattutto ogni donna nera Afroamericana che iniziò a capitare sul suo cammino. Tyrone (Live), il brano in questione, rimase incastonato, come un diamante, nelle menti di queste donne, un reale Black feminist anthem che segnò Badu ufficialmente come una true Black feminist legend. Tra le cose straordinarie relative a questo brano, vi era il fatto che questo fu registrato interamente live sul momento, una pura improvvisazione nata dal gioco di Erykah sulle note della sua affiatata band, ma ancora più straordinaria era quella sua sagoma altissima e regale, ornata di ancestry and african heritage, che si muoveva con fermezza sulle note di un inno di indipendenza da questi broken and emotionally unavailable men, nella quale risiedeva la sua essenza di Queen Mother. Quel bagaglio alla Bag Lady (2000) che Badu si porta appresso, esattamente al pari di Latifah, nasce e si compone nella cornice di una rivoluzione musicale Afroamericana femminista, che negli anni ‘90 ebbe il suo culmine e che aprì la strada a tutte le Women in hip hop della nostra contemporaneità.
Badu prese in eredità dalle sue peers e dalle artiste che l'avevano preceduta e accompagnata, un modo politico di fare musica, a partire dal suo primo figlio Baduizm (1997) fino ad arrivare agli album New Amerykah Part One & 2 (2008/2010) e alla "stay woke" re-revolution che innescarono, così come si impose sin da subito come fashion icon e portavoce afro-futurista, arrivando ad essere oggi una delle artiste Afroamericane più influential di tutti i tempi. E' nel suo stesso modo di concentrarsi sull' empowering self e sulla Black consciousness, che Badu esprime la sua esperienza as a Black woman in America; lo fa in maniera unica e quasi irripetibile, allineandosi sotto la protesta e la lotta di indipendenza ed affermazione di queste donne nere che hanno rivoluzionato e diffuso la cultura di cui sono eredi.
Queste tre donne sono sostanzialmente una delle dimostrazioni di come l'industria musicale odierna debba tutto alle donne Nere americane. Emerge un gigantesco debito nei confronti di tutte coloro che hanno rivoluzionato non solo la musica, ma anche le menti e le coscienze collettive di comunità e movimenti dal basso, usando la propria voce ed il proprio corpo in maniera anticonformistica - a seconda delle norme del periodo - e innescando un profondo percorso di influenza delle artiste Nere contemporanee. Queste donne hanno plasmato l'intera hip hop culture e sono la fisica rappresentazione di un movimento femminista intersezionale all'interno della cultura stessa, senza di esse forse oggi non potremmo parlare né di industria musicale hip hop, né di legacy e né tantomeno di femminismo. Per concludere con le ultime parole di Queen Latifah in Ladies First (2023):
«You need us in Hip Hop. We gotta say what we gotta say sometimes. You need that beat. You need that rhyme. You need that song. You need those words. And they're words only a woman will speak».
di Selam Tesfai
Scritto ascoltando questa playlist:
«Da leggere più volte. Serve sempre tempo per digerire ciò che scrive una femminista nera»
Con queste parole scritte in prima pagina, mi è stato donato Uses of the Erotic: Erotic as a Power, libro scritto da Audre Lorde nel 1978 e atterrato non più di 10 anni fa sul mio comodino. Dal titolo mi è stato subito chiaro che questo libro è un grido di battaglia contro il patriarcato: una donna che scrive la parola erotico a titolo di un saggio è già di per sè una provocazione, in una società che impone alle donne di sopprimere tutto ciò che di loro è sensuale. Uses of the Erotic: Erotic as a Power è un saggio che apre a uno sguardo radicale sul mondo: l’erotico è un potere che viene sottratto alle donne, abusato e denigrato, perchè è una fonte di energia che può permettere di sollevarsi e resistere.
Noi donne[1] cresciamo sapendo che qualcosa di noi dà fastidio, mette a disagio, crea scompiglio. A tutte noi hanno voluto insegnare a temere il nostro stesso corpo, a sentirci a disagio nelle nostre stesse membra, impedendoci così di esplorare e conoscere noi stesse nel profondo. Fin da bambine il mantra è stare composte, controllare che il nostro corpo non infastidisca altri, che non attiri lo sguardo maschile, che non li ecciti. Il nostro corpo va domato, normato, addirittura reso tabù. Considerarlo come risorsa di gioia e piacere è per molte ancora impensabile.
Per questo motivo, ci siamo spesso allontanate dall'esplorare l'erotico, usarlo come fonte di potere e di informazione sul nostro corpo. Lo abbiamo invece confuso con il suo opposto, la pornografia eteronormata, ovvero la negazione diretta del potere dell'erotico, la soppressione del sentimento vero, una riproduzione plastica e falsata, ben lontana dal comunicare ai corpi oppressi il potere della gioia e del godimento. Come fare a riconoscere il piacere, se i nostri corpi sono rappresentati unicamente come atti a servire altri?
«Nera, lesbica, madre, guerriera, poetessa»
Audre Lorde nasce il 18 febbraio 1934 da Frederic e Linda Belmar Lorde, immigrati dalle isole caraibiche di Grenada e Barbados. È la più giovane di tre sorelle e cresce a Harlem, New York. Lorde si definisce «Nera, lesbica, madre, guerriera, poetessa». Una descrizione che racconta l’intreccio di identità che abitano il suo corpo e che incarnerà attraverso i suoi libri, le sue poesie e l’attivismo politico portati avanti nel corso della vita, divenendo così una delle più importanti pensatrici del femminismo nero intersezionale. Lorde ha continuato a scrivere in modo prolifico per tutti gli anni Settanta e Ottanta, esplorando le intersezioni tra razza, genere e classe ed esaminando le proprie identità in un contesto globale.
Nel 1977, un anno prima dell’uscita del suo celebre saggio Uses of the Erotic: Erotic as a power, Lorde non solo scopre di avere un cancro al seno ma si rende conto che le cure per le donne erano avvolte nel silenzio e, per lei, donna lesbica e Nera, ancora più isolanti. Lorde sente che le narrazioni relative all’affrontare la malattia e la guarigione che aveva incontrato nelle sue ricerche, sono pensate esclusivamente per donne bianche eterosessuali. Nel tentativo di combattere questo silenzio e di favorire la connessione con altre lesbiche e donne Nere che affrontano la stessa lotta, Lorde offre un ritratto crudo del dolore e della speranza in The Cancer Journals (1980), un testo pioniere nella letteratura sul cancro al seno.
La difesa di Lorde a favore delle persone Nere e della comunità queer è proseguita anche al di fuori della sua carriera letteraria. Nel 1979 è stata un'importante oratrice alla Marcia nazionale di Washington per i diritti di lesbiche e gay. Nel 1981, insieme a Barbara Smith e ad altri scrittori, Lorde fonda Kitchen Table: Women of Color Press, una casa editrice che si dedica alla promozione di femministe razzializzate e dei loro scritti. Lorde è stata anche membro fondatore di Sisterhood in Support of Sisters in South Africa, un'organizzazione che si batteva per le donne che vivevano sotto l'apartheid.
Il cancro, purtroppo, si ripresenta. Lorde muore nel 1992, lasciandoci preziosi strumenti per decostruire il modo in cui il corpo delle donne nere è stato raccontato, poesie e analisi da diffondere e da continuare ad esplorare.
«L'erotico è stato spesso chiamato in modo sbagliato dagli uomini e usato contro le donne»
Audre Lorde non solo ha suggerito di concentrare l’attenzione sulla possibilità di liberazione che l'erotico da al corpo delle donne, ma anche di riscoprirne l'aspetto conflittuale, che permette di svelare l'egemonia del potere maschile : l’erotico nelle mani delle donne è un potere rivoluzionario.
«There is something I want you to do for me
I want you to use yourself (hey)
Like you've never, ever used to do before (never)
To explore my body (explore it, baby)
Until you reach the shore (yeah)
I'll be calling, calling for more (calling)»
Rock the boat by Aaliyah
Erano gli anni ‘90, avevo pochi anni di vita e la fortuna di avere una sorella maggiore che attraverso la radio registrava su cassetta tutte le hit dei gruppi femminili che hanno dominato la scena hip hop statunitense durante la Golden Era: En vogue, Salt’n’pepa, TLC. Dai testi ai titoli delle loro canzoni, dalle coreografie agli outfit dei video musicali; le donne Nere che hanno iniziato il mondo alla cultura hip hop esprimevano la loro sensualità, non la temevano, la usavano come potere di cui riappropriarsi, rispondendo a tono contro la misoginia e il razzismo della società statunitense e dell’industria musicale, rivendicando il piacere sessuale femminile.
A loro si uniscono le voci di Queen Latifah, Lauryn Hill, Lil’ Kim e verso la fine degli anni novanta fanno il loro ingresso sulla scena Erykah Badu e Missy Elliot. Queste artiste di fama mondiale, emerse nell’arco di una decina di anni, con il loro stile mettono costantemente in discussione i canoni estetici femminili dominanti e quelli della cultura hip hop, raccontando un fervore culturale incredibile e documentando il grande contributo delle donne nere per la nascita, lo sviluppo e la diffusione dell’hip hop.
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Sono loro le donne che hanno posto le basi perchè anche l’hip hop fosse veicolo del femminismo Nero, da sempre capace di influenzare la tradizione orale Afroamericana. Il femminismo Nero ha usato come arma di diffusione, i diversi generi della musica Nera: dal blues al R’n’B, la discografia americana raccoglie le firme di numerose donne Nere capaci di raccontare, attraverso il canto e il rap, esempi concreti dell’intersezione tra razza, genere e classe, ma anche la resistenza quotidiana, la cura e la difesa della comunità.
«Girls can't never say they want it
Girls can't never say how
Girls can't never say they need it
Girls can't never say now»
Girls need love by Summer Walker
Come Audre Lorde, tante artiste Nere hanno contribuito a raccontare la sfida di concepire l’erotico come un potere conflittuale, che svela attraverso la provocazione tabù e misoginia, ma anche la capacità di riappropriarsi dell’uso che viene fatto del corpo delle donne Nere.
Audre Lorde ricorre alla poesia fin da piccola. Intorno ai 12 anni scrive: «when I couldn’t find the poems to express the things I was feeling, that’s what started me writing poetry». Queste parole esprimono in modo cristallino la maniera in cui le comunità segregate ai margini delle società patriarcali e capitaliste, come quelle razzializzate e queer per esempio, abbiano costante necessità, non solo di raccontarsi ma anche di esplorare, attraverso la creatività, pratiche di resistenza semantica e sociale, per riconquistare così il potere di narrarsi, e non lasciare che sia solo l’oppressore a descrivere chi siamo e come pensiamo.
La cosa più affascinante del femminismo Nero, forse, è il suo risiedere contemporaneamente in linguaggi e contesti diversi, attraverso le epoche e i movimenti di resistenza e liberazione dei popoli neri in tutto il globo. Forme e pratiche che si raccontano e tramandano attraverso la musica, la cura dei capelli, la poesia e l’arte performativa, la danza e la creatività, per costruire nuovi linguaggi, capaci di aprire spazi di gioia.
Lyrics, libri, poesie, articoli, reel e dirette: sono infiniti gli strumenti che le nostre comunità utilizzano per dare sfogo al bisogno di raccontare e tramandare pratiche di liberazione, da un mondo che ci impone il silenzio attraverso la vergogna, l’annullamento e la criminalizzazione dei nostri corpi. Un mondo senza gioia, di cui noi non vogliamo far parte.
Uses of the Erotic: Erotic as a Power è un libro che ha rievocato in me decine di microscopiche sensazioni, che insieme hanno contribuito al mio essere femminista.
Leggere le parole di Audre Lorde mi ha aiutato a non temere più il mio corpo, a non negare le emozioni che comunica, a riposare attivamente per consentire al mio corpo di esistere, di percepire, di godere e di gioire. Pensare però che solo le sue parole abbiano risuonato in me sarebbe riduttivo: la verità è che Audre Lorde - come alcune delle donne che ho nominato o che ho inserito nella playlist che ho composto per questo articolo - hanno custodito e diffuso quei segreti ancestrali in grado di svelarci i poteri che ci permettono di lottare e immaginare la liberazione.
di Naomi Kelechi Di Meo
Scritto ascoltando Venom di Little Simz
Nel delineare il percorso dinamico delle donne Nere nell’industria musicale, risulta evidente che la loro è una narrazione di rivoluzione, innovazione ed emancipazione. Attraverso gli sviluppi e i trionfi delle loro carriere, le artiste Nere non solo hanno tracciato una strada per loro stesse, ma hanno anche illuminato una via per le donne razzializzate degli Stati Uniti. Il loro inscalfibile impegno per l’espressione di sé, la sfida all’oppressione sistemica e l’incrollabile perseguimento della loro visione artistica hanno catalizzato un cambiamento culturale profondo, gettando le fondamenta per l’emersione del pensiero femminista Nero.
All’intersezione tra il loro valore musicale e l’impegno sociale si situa la nascita del pensiero femminista Nero, un paradigma che è emerso dalle esperienze vissute delle donne Nere, che si trovano ad affrontare le oppressioni intersecanti di razza, genere e classe. Attraverso la loro arte e il loro attivismo, le musiciste Nere sono state determinanti nel dare forma a questo discorso, sfidando le strutture patriarcali ed impegnandosi per l’emancipazione di tutti i gruppi marginalizzati. Dal lirismo struggente di Nina Simone all’attivismo accanito di artiste come Janelle Monáe, le donne Nere nella musica hanno fornito una piattaforma di articolazione dei principi del femminismo Nero, promuovendo concetti come l’autodeterminazione, la solidarietà e la liberazione. Il loro lavoro non ha solamente rimodellato il panorama culturale, ma anche catalizzato un movimento sociale più ampio, ispirando individui di ogni estrazione sociale all’approccio critico verso le istanze del potere, del privilegio e dell’identità. Nell’onorare il loro contributo, riconosciamo il potenziale trasformativo del pensiero femminista Nero come catalizzatore di cambiamento sociale e della lotta in atto per l’emancipazione e l’eguaglianza.
Dalle voci pionieristiche di Billie Holiday e Aretha Franklin alle apripista contemporanee come Beyoncé e Cardi B, le donne Nere nella musica hanno costantemente infranto i confini, sfidato gli stereotipi e preteso riconoscimento per il loro talento. Attraverso i loro testi, le loro esibizioni e il loro attivismo, sono diventate agenti di cambiamento, sfidando le norme sociali ed amplificando le voci delle comunità marginalizzate.
L’influenza di queste musiciste pionieristiche si estende ben al di là del campo dell’intrattenimento. I loro contributi hanno innescato conversazioni sull’intersezionalità, la rappresentazione e la giustizia sociale, accendendo un movimento che risuona di generazione in generazione. Nel riverberare attraverso le stanze della storia, la loro musica funge da testimonianza sul potere duraturo dell’arte come strumento di liberazione ed empowerment.
Celebrando l’eredità delle donne Nere nella musica, onoriamo non soltanto i loro risultati artistici, ma anche il loro profondo impatto sulla lotta per l’eguaglianza e la giustizia. Il loro percorso funge da faro culturale, che ispira le generazioni future ad abbracciare la loro identità, ad abbracciare la loro verità, e a continuare a battersi per una società più inclusiva ed equa. Mentre riflettiamo sul loro contributo, impegniamoci a riaffermare il nostro impegno ad amplificare le loro voci, a promuovere le loro storie e ad assicurarci che la loro eredità rimanga parte integrale del nostro mosaico culturale.
Davis, A. Y. (2011). Blues Legacies and Black Feminism: Gertrude Ma Rainey, Bessie Smith, and Billie Holiday. United States: Knopf Doubleday Publishing Group.
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Carter, Mickell. "Queen Latifah and the Legacies of Black Power.", 22 febbraio 2023 February 22nd, 2023 https://www.aaihs.org/queen-latifah-and-the-legacies-of-black-power/
Charnas, Dan. "The Rise and Fall of Hip-Hop’s First Godmother: Sugar Hill Records’ Sylvia Robinson", 17 ottobre 2019 https://www.billboard.com/music/rb-hip-hop/sugar-hill-records-sylvia-robinson-hip-hop-godmother-8533108/
Keyes, Cheryl L. “Empowering Self, Making Choices, Creating Spaces: Black Female Identity via Rap Music Performance.” The Journal of American Folklore, vol. 113, no. 449, 2000, pp. 255–69
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Saad, Nardine. "What does ‘woke’ mean now? Erykah Badu, who popularized it, clarifies original definition.", Los Angeles Times, 29 marzo 2023. March 29th, 2023 https://www.latimes.com/entertainment-arts/music/story/2023-03-29/erykah-badu-woke-definition-conservatives-master-teacher
Sanneh, Kelefa. "Godmother of Soul. Erykah Badu’s expanding musical universe.", The New Yorker, 18 aprile 2016. April 18th, 2016 https://www.newyorker.com/magazine/2016/04/25/erykah-badu-the-godmother-of-soul